Da giusto un secolo sappiamo che la Terra è costantemente sottoposta ad una doccia di raggi cosmici. Si tratta di particelle di altissima energia, per lo più protoni, che ci piovono addosso da ogni direzione. Difficile dire da dove vengano perché il debole campo magnetico che pervade la nostra galassia è sufficiente per curvare la loro traiettoria rendendo impossibile ricostruire la loro direzione di origine. Non resta che procedere a ritroso cercando di capire quali condizioni fisiche siano necessarie per accelerare particelle ad energie così alte (anche superiori a quelle raggiungibili dagli acceleratori del CERN).
L’idea brillante venne ad Enrico Fermi che propose un meccanismo tipo ping pong per aumentare la velocità (quindi l’energia cinetica) delle particelle grazie a rimbalzi su strutture in movimento nel mezzo interstellare. Ovviamente le particelle non rimbalzano contro un muro ma interagiscono con una struttura, tipicamente un filamento, caratterizzata da densità maggiore di quella dell’ambiente circostante, quindi da un campo magnetico più elevato. E’ il campo magnetico che devia la traiettoria delle particelle ridistribuendole in tutte le direzioni. Le particelle che rimangono intrappolate nel campo magnetico del filamento, ad ogni rimbalzo acquistano un po’ di energia a spese del moto del filamento… e vengono accelerate.
Le strutture in movimento più spettacolari che conosciamo sono i resti di supernova, quindi l’identikit delle possibili sorgenti di raggi è presto fatto: gli oggetti celesti ideali per accelerare i raggi cosmici sono i resti delle esplosioni di supernova. L’astronomia X, grazie alle osservazioni di Chandra ed XMM-Newton, ci ha fornito prove convincenti che i resti di supernova emettono radiazione di sincrotrone prodotta da elettroni accelerati che interagiscono con il campo magnetico dei filamenti in movimento. E’ un buon inizio, ma non basta.
Noi sappiamo che la maggioranza dei raggi cosmici sono protoni e quello che cerchiamo è la prova della presenza di protoni accelerati. Peccato che i protoni siano più difficili da rivelare degli elettroni. Non emettono sincrotrone (i campi magnetici dei resti di supernova fanno il solletico ai protoni) e l’unico modo che abbiamo di indovinare la presenza di protoni accelerati è attraverso i prodotti della loro interazione con il mezzo interstellare. Quando un protone dei raggi cosmici colpisce un protone del mezzo interstellare vengono generate diverse particelle, una delle quali, il pione neutro, decade immediatamente in due raggi gamma di alta energia. Se questi fotoni, che vengono emessi in tutte le direzioni, viaggiano in direzione della Terra hanno una certa probabilità di essere registrati dai telescopi gamma che operano in orbita terrestre: Agile, della Agenzia Spaziale Italiana, e Fermi della NASA (con una importante partecipazione italiana) . Dal momento che i raggi gamma si propagano in linea retta, possiamo capire da dove vengono. E’ in questo modo che l’astronomia gamma può partecipare da protagonista alla caccia alle sorgenti dei raggi cosmici.
Basta puntare Agile e Fermi verso un resto di supernova per avere la prova dell’accelerazione dei raggi cosmici? Non è così semplice. Oltre ai protoni accelerati ci vogliono dei protoni bersaglio, quindi non basta guardare un bel resto di supernova, occorre selezionare un resto che si stia espandendo contro una nube interstellare. Per di più, i resti non devono essere troppo giovani per evitare un contributo troppo importante da parte dei sempre presenti elettroni, che sono anche capaci di produrre raggi gamma con un meccanismo che i fisici chiamano Compton inverso. Questo restringe la scelta a un numero esiguo di oggetti. I più promettenti sono noti come IC443 nell’anticentro della nostra galassia, più o meno a metà strada tra la nebulosa del Granchio e Geminga, e W44 immerso nel piano della nostra galassia. Entrambi sono stati studiati in dettaglio da Agile e Fermi e i risultati concordano nel mostrare la firma della presenza di protoni accelerati. Entrambi sono rivelati come sorgenti estese e la forma vista in gamma è compatibile con quella tracciata sulla base dei dati radio. Non è la forma del resto di supernova che ci mostra i protoni bensì lo spettro. E’ lì che si può trovare la prova che i raggi gamma sono stati prodotti dall’interazione dei protoni dei raggi cosmici con i protoni del mezzo interstellare.
Il pione neutro, quando decade, dà origine a due raggi gamma che ereditano sia la sua energia di massa, sia la sua energia cinetica. La massa del p0 è 135 MeV, quindi i due gamma possono contare su una eredità di massa di poco meno di 70 MeV ciascuno oltre all’energia cinetica della particella originale. I gamma prodotti dall’interazioni tra protoni accelerati e protoni bersaglio hanno una firma spettrale ben precisa e inconfondibile: un bump intorno ai 100 MeV. E’ questo che è stato visto prima da Agile e adesso da Fermi, che pubblica su Science il grafico cumulativo dei dati gamma disponibili per W44 (vedi figura in alto).
Nel frattempo, Agile ha accumulato più dati e lo spettro (che Marco Tavani ha fornito in anteprima) ha una gobba ancora più pronunciata (figura a destra).
E’ la fine del mistero? Solo in parte. Grazie ad Agile e a Fermi adesso sappiamo dove vengono accelerati i raggi cosmici che ci piovono addosso continuamente, non sappiamo ancora in dettaglio come ciò avvenga.
httpvh://youtu.be/1xI5DMK3AtY
Fonte: Media INAF | Scritto da Patrizia Caraveo